Ed eccoci giunti al quinto Yama, l’ultimo: Aparigraha, in genere tradotto come “non possesso”.
In poche parole, si può dire che per raggiungere la vera conoscenza non dovremmo accumulare cose, ma possedere solo ciò che è necessario. Più cose possiedo, infatti, più la mia mente è distratta, debole, occupa spazio.
Certo, il confine tra necessario e superfluo è labile, dipende dalla società in cui viviamo, da come siamo cresciuti. Oggi, consideriamo internet una necessità, ad esempio, ma anche io, solo con i miei quasi 35 anni, ricordo quando era un lusso, una cosa che si concedeva chi poteva permetterselo (e aveva la pazienza di aspettare connessioni lentissime, che si bloccavano se suonava il telefono!).
Il minimalismo va molto ultimamente, e chi lo applica riesce ad avere uno stile di vita semplice ma non per questo privo di qualcosa: molti, ad esempio, hanno ripreso un’abitudine che un tempo era molto più comune – chiedere in prestito, o al più noleggiare. Ad esempio, ho un evento particolare per cui è richiesto un vestito che non possiedo, e che non userei mai più nella mia vita? Ho magari un’amica o qualcuno nella mia famiglia che può prestarmelo per l’occasione, o ho la possibilità di noleggiarlo e restituirlo quando avrò fatto?
A me quest’idea piace molto. Negli ultimi anni ho fatto molto spesso pulizia delle cose che possiedo (da quando mi sono trasferita in una casa molto piccola, e poi quando ho cominciato a condividerla con qualcuno che il minimalismo non sa proprio cosa sia). Tendo tantissimo al riuso, al riciclo, soprattutto dei capi d’abbigliamento. Per il resto ci sono poche cose che tendo ad accumulare. Per un periodo ammetto di aver accumulato fin troppi tappetini da yoga, ma a mia discolpa potrei dire che ci ho messo tanto a trovare quello più adatto a me. Qualcuno l’ho poi regalato, alcuni sono comodi da lasciare in palestra per quando insegno, così da non doverli portare sempre in giro, per gli altri (quelli più lisi e consumati, difficili da regalare) sto piano piano scoprendo il modo di riciclarli.
Un’altra cosa, però, sono i libri. Nonostante abbia da tempo scoperto la comodità degli ebook, soprattutto quando si viaggia, e nonostante detesti l’idea delle migliaia e migliaia di alberi tagliati per la carta…ammetto che il libro stampato ha tutt’altro sapore, odore… Come risolvo? Beh, il più lo leggo come ebook, ma quando un libro merita davvero lo compro anche in copia cartacea. Se è un libro che merita, però, è anche un libro che consiglierei, per cui almeno posso approfittarne per prestarlo.
Ok, meglio che mi fermi, se no comincio a parlare di tutt’altro! Ritorniamo al nostro Yama, e alla difficoltà di capire se una cosa è necessaria o se sono semplicemente attaccata ad essa. Potremmo effettivamente dire che tutto ciò che ci serve per sopravvivere è necessario, e al giorno d’oggi questo può in effetti includere anche internet, o uno smartphone, un computer. Di sicuro, il confine può variare da persona a persona, e forse l’unica cosa che possiamo fare è farci delle domande, fermarci a riflettere. Ad esempio, poniamo il caso che mi si rompa il telefono: mi dispero e corro per sostituirlo perché altrimenti non posso comunicare con mia madre, o perché non posso stare lontana dai social più di un’ora? Oppure, quel paio di jeans si strappa definitivamente, e magari mi arrabbio o ci resto male: è perché non ho altro da mettermi (e magari neanche i soldi per comprare qualcosa di qualità), o perché ero affezionata a quel paio e ai ricordi che conservava, ma ho l’armadio pieno di cose simili? E se è proprio quel paio di jeans che mi ricordava magari serate bellissime, è così sbagliato che mi ci fossi affezionata?
Soprattutto, questo significa che devo liberarmi di tutto subito? A questa domanda, personalmente risponderei di no. Quando individuo una cosa che mi sembra superflua, io aspetto sempre un po’. Osservo, vedo se la uso, anche solo ogni tanto, o se magari cerco scuse pur di usarla perché non voglio liberarmene. Se dopo un po’ di tempo vedo che in effetti è totalmente e inesorabilmente superflua, cerco di capire se posso riciclarla, regalarla, venderla.
Ricordiamo però una cosa: l’attaccarsi tanto a uno o più oggetti (senza motivo apparente), può nascondere una paura del cambiamento. E il percorso dello yoga è un percorso di cambiamento.
Vorrei concludere con una nota nostalgica. Da gattara quale sono, considero i gatti i migliori “maestri zen”. Da loro imparo ogni giorno a fermarmi, non fare nulla, godermi il momento. E in effetti, anche su quest’ultimo Yama potrebbero insegnarci molte cose. O forse no? Non che i gatti accumulino ossessivamente come facciamo noi, anche se ci provano a volte. La mia ad esempio, se potesse avere una casa piena di scatole di cartone di ogni dimensione sarebbe probabilmente contentissima. Ma non ne fa un dramma quando butto via l’ennesima scatola che ha fatto a pezzi (che per lei ovviamente era la migliore del mondo…fino all’arrivo di una nuova). Ma mi è capitato di vedere un gatto ossessivamente attaccato a un oggetto. Il mio amatissimo Smog, morto poco più di due anni fa, aveva un pupazzo (una talpa che mi era stata regalata dai miei cugini data la mia estrema miopia, e che gli avevo dato quando era molto piccolo per insegnarli a mordere quella e non me) a cui era legatissimo. Se la portava in giro, me la portava quando voleva giocare o la metteva nella cesta in cui aveva intenzione di dormire. Era sua, così tanto che Arya (la gatta che tutt’ora vive con me) non ha mai osato giocarci.
Quella talpa ora ha un posto d’onore sul mobile in cui tengo la campana tibetana e gli incensi. È diventata qualcosa a cui sono estremamente legata io. Qualcosa sicuramente di superfluo, ma da cui non riesco a staccarmi. E in fondo mi dico, se il mio maestro zen per eccellenza le era così legato, è davvero così superflua?